
Concorsopoli: Onore, Merito, Coraggio. Tutto ciò che il Sistema ha smarrito.
Non è più consentito tacere. Tacere oggi non è equilibrio, non è prudenza, non è responsabilità. Tacere è resa. Tacere è complicità.
Di fronte a una degradazione così profonda dell’etica sindacale e istituzionale, restare impassibili significa tradire la storia, i sacrifici e la dignità di chi ha indossato — e indossa — questa divisa con onore.
L’editoriale OSA Polizia “Il Reduce” – “Quella maledetta cogestione – l’Ira del Reduce” non è una semplice presa di posizione: è un atto d’accusa morale, duro e irrevocabile, che nasce dalla carne viva di chi ha pagato sulla propria pelle ciò che oggi altri indossano come una maschera.
Parla un Reduce vero. Un “carbonaro” che non ha mai cercato scorciatoie né riflettori, ma che ha attraversato isolamento, ritorsioni, delegittimazione e sacrifici personali per strappare, con fatica e sofferenza, strumenti concreti a difesa della dignità dei poliziotti.
L’indignazione esplode davanti alla falsificazione della memoria: l’appropriazione indegna di battaglie mai combattute, la narrazione comoda di chi arriva dopo e si proclama erede senza aver mai conosciuto il prezzo della lotta. È un oltraggio intollerabile a chi ha pagato davvero, a chi ha subito sulla propria vita professionale e privata le conseguenze di scelte coraggiose e scomode.
Che a denunciare tutto questo sia un uomo insignito dell’onorificenza di Cavaliere della Repubblica non è un dettaglio formale, ma un sigillo morale. Quella medaglia non è un ornamento: è il riconoscimento di una storia vissuta, di una coerenza mantenuta anche quando sarebbe stato più comodo tacere o piegarsi.
Questo comunicato segna uno spartiacque etico: da una parte chi ha combattuto nell’ombra per la libertà sindacale, pagando fino in fondo; dall’altra chi oggi tenta di riscrivere la storia per coprire il vuoto delle proprie responsabilità.
La memoria non si ruba, la dignità non si improvvisa, il rispetto si deve a chi ha sofferto davvero.
Ci sono momenti in cui il silenzio non è neutralità, ma viltà, in cui il rispetto delle forme diventa un insulto alla verità, in cui restare “composti” equivale ad accettare l’ingiustizia come sistema.
Questo è uno di quei momenti.
Scrivere queste parole fa male. Fa male perché ogni riga pesa su una divisa che dovrebbe incarnare sacrificio, legalità e servizio allo Stato, non relazioni privilegiate, carriere costruite nelle stanze chiuse, scambi di favore mascherati da normalità. Fa male perché chi ama davvero questa Istituzione non può più fingere di non vedere.
Lo scandalo oggi noto come “Concorsopoli” nella Polizia di Stato non è una sorpresa. È solo la verità che affiora. È il volto scoperto di un sistema marcio, noto da anni a chi vive dall’interno l’Amministrazione, cresciuto nell’assenza di regole, di controlli reali e di incompatibilità, protetto da un silenzio lungo, colpevole e devastante.
Questo testo non nasce per polemica, non nasce per visibilità, nasce per necessità morale.
Perché quando la degenerazione diventa metodo e il silenzio diventa abitudine, parlare non è più una scelta: è un dovere.
Concorsopoli nella Polizia di Stato: quando la rappresentanza tradisce.
Lo scandalo “Concorsopoli”, con il coinvolgimento di sindacalisti e dirigenti legati da rapporti personali e di convivenza, rappresenta uno dei momenti più umilianti mai vissuti dalla Polizia di Stato. Non è un episodio isolato. È il frutto avvelenato di una cogestione malata tra amministrazione e sindacati che ha svuotato dall’interno il concetto stesso di rappresentanza.
Quando un sindacato, nato per difendere diritti, legalità e trasparenza, smette di essere argine e diventa ingranaggio del potere, il danno è incalcolabile: per i poliziotti onesti, per i giovani agenti, per la fiducia dei cittadini nello Stato.
Il conflitto di interessi non è più un’eccezione: è diventato sistema. Dirigenti che convivono con esponenti sindacali, sindacalisti che influenzano carriere, commissioni e procedure, senza incompatibilità reali, senza controlli, senza vergogna. In qualsiasi altro ambito pubblico sarebbe uno scandalo insanabile. Qui è stato normalizzato.
Questo comunicato nasce da una posizione chiara e non negoziabile: quella di chi ha pagato il prezzo della libertà sindacale autentica. Di chi ha conosciuto l’isolamento e la delegittimazione. Di chi non ha mai svenduto la propria dignità per un incarico né la propria coscienza per una carriera.
Non è retorica, non è rabbia di facciata, è una denuncia necessaria. Ed è un atto di lealtà verso la Polizia di Stato.
Oggi indignarsi non basta più. Serve una rottura netta. Serve una riforma profonda e immediata della rappresentanza sindacale: incompatibilità vere, non di facciata, separazione reale tra sindacati e amministrazione, trasparenza totale nei concorsi e nelle carriere, controlli esterni, indipendenti e credibili, fine definitiva del sindacalismo di potere e di carriera
Chi ama davvero la Polizia di Stato non difende questo sistema, chi ama davvero la Polizia di Stato lo combatte.
Perché senza legalità interna non esiste onore. E senza onore non esiste credibilità.
Questo è il tempo della scelta.
OSA Polizia non è una sigla, è una linea di confine, è la comunità di chi non accetta di piegarsi.
Che il Futuro Ci Sia Amico!
Aversa (CE) lì, 22 dicembre 2025
Il Segretario Generale Nazionale
Antonio Porto
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